CENNI SUL TARANTISMO

Il tarantismo è senza dubbio il fenomeno culturale salentino più studiato. Volendolo sintetizzare al massimo, possiamo affermare che perché ci sia il tarantismo, quello canonizzato dall’equipe di De Martino, e la conseguente pizzica tarantata “liturgica”, devono verificarsi le seguenti condizioni: c’è prima una credenza, bisogna credere nel morso della taranta, che fa male e porta ad avere una malattia che poi deve essere curata attraverso il ballo. Un fenomeno di stato alterato o modificato della coscienza, che deriva sempre da una credenza, organizzato e regolato in modo socialmente accettato dentro un rito in cui c’è la musica.Ma qui la musica ha una funzione regolatrice di un disturbo e di una difficoltà.

Ridurre perciò il fenomeno del tarantismo ad un semplice rapporto con l’aspetto naturalistico della musica è veramente limitativo, perché prima di tutto appiattisce la spiritualità, la storia e la cultura di questo fenomeno al fatto che al suono del tamburello la tarantata reagisce e si vitalizza. Se pensiamo davvero che la sola musica induca un fenomeno di trance sbagliamo moltissimo; la musica fa un’altra cosa: regola la trance, le dà un ordine. Questo tarantismo come fenomeno in sé è concluso, perché è conclusa la credenza nel fatto che la taranta pizzichi e provochi una malattia, anche perché gli elementi specifici di un’area – per quanto isolata – non sono immutabili; sono già mutati nel corso dei secoli, mutano sotto i nostri occhi e muteranno ancora nella loro specificità, prima più lentamente, oggi più velocemente, e niente può arrestare il loro mutamento: illudersi che non cambino è solo un sogno conservatore di chi vuole ridurre una comunità in musei, in una visione estetizzante della “civiltà contadina”, ormai abbondantemente superata e rifiutata nella vita quotidiana. Bisogna individuare le radici uniche ancora vitali delle vecchie culture, cogliere i tratti essenziali che ne sopravvivono e tenere conto di come si sono trasformate e come potrebbero trasformarsi nell’incontro-sintesi con altre espressioni culturali: solo così queste culture si rivitalizzano e si orientano in funzione di componenti attive dello sviluppo.

I “nuovi” tarantati

Oggi i giovani non hanno contatto diretto con il lavoro duro nei campi, il tarantismo o la lamentazione funebre, ma non sentono meno il peso della sofferenza e della malinconia che ha prodotto la maggior parte dei nostri canti ed alcuni di loro hanno un disagio esistenziale certamente non inferiore a quello che colpiva le tarantate di anni fa. Il tarantismo è modello, diciamo, di penetrazione dal di fuori al di dentro che è tipico delle società oppressive e delle società organizzate secondo un modello molto rigido.

Questo è definito dentro lo spazio della possessione, dove una tarantola morsica, che è come quando uno spirito, che sia il diavolo o qualsiasi altra cosa, entra in un corpo, lo possiede e gli fa fare qualcosa che non vuole e quindi indesiderata e indesiderabile.
I nuovi tarantati non sono posseduti da niente e da nessuno e ugualmente, in cerca di un loro dio, si radunano a centinaia, prendono il tamburo, ballano, cantano e cercano di entrare in una trance dove non si è malati e non ci si sente malati. Non si ha paura di essere visti, anzi considerano saper fare questa cosa un privilegio che gli dà il rapporto che hanno con la loro divinità, mostrano con orgoglio i calli e le ferite procuratesi con l’uso prolungato del tamburello e fanno propaganda del loro vissuto. La cultura che c’è dietro questi fenomeni è completamente diversa da quella di possessione perchè non è considerata una malattia, non va curata, non c’è da vergognarsi. Sui tamburelli di molti salentini viene dipinta l’immagine del famoso Dio che Danza, dipinta sulle pareti della famosa Grotta dei Cervi, dove si conservano pitture parietali che testimoniano il passaggio dal Paleolitico Superiore al Mesolitico e Neolitico. Questa figura ha colpito così tanto l’immaginario dei salentini da portarli ad identificarla con la divinità che considerano l’origine della cultura popolare profonda, ancora ricca di un patrimonio inestimabile. Ed è nella pizzica che vedono il suo “cuore ancora pulsante” in grado di trasmetterne il messaggio.